PISORNO, LA STORIA DEL FALLIMENTO DELLA PRIMA HOLLYWOOD ITALIANA

Prima della nascita di Cinecittà, il duce decide che la Hollywood italiana dovrà avere sede tra Pisa e Livorno. Nasce così Pisorno, stabilimento oggi abbandonato. Attraverso il figlio di uno dei suoi protagonisti, ripercorriamo l'epoca d'oro del primo grande studio cinematografico italiano.

Nella selva di Tombolo, in località Tirrenia fra Pisa e Livorno, nacquero nel 1934 i primi stabilimenti cinematografici italiani adatti a girare film sonori. Erano gli studios Pisorno, concepiti come una struttura all’avanguardia per curare ogni film in tutte le sue fasi, dalla produzione alla distribuzione. La storia di un (in)successo, in bilico tra potenziale da esprimere e concorrenza da fronteggiare, fra grandi nomi che ne punteggiano la storia e l’accanimento della sfortuna che, di questa storia, detta i titoli di coda. Tra un residence di lusso e un campo da golf a 18 buche.

La targa con scritto “Cosmopolitan Film – Stabilimenti Cinematografici Tirrenia” è ancora lì, affissa alla struttura bianca dell’ex-portineria. Sopra campeggia un’altra scritta, molto più moderna: “Prossima Consegna. Appartamenti varie metrature, posto auto incluso nel prezzo”. Il cancello è aperto su un viale d’ingresso in asfalto e ghiaia, circondato da erba e sterpi, su cui passa qualche macchinone impaziente di raggiungere la strada. Imboccandolo, ci si trova davanti un altro gigantesco pannello che recita “Tennis”, con una freccia puntata verso destra. Copre un intrico di impalcature rossastre, le quali coprono a loro volta quel che resta del corpo principale degli studios Pisorno, costruiti nel 1934 e solo successivamente rinominati Cosmopolitan. Proprio come il resort e golf club che nel frattempo è stato fabbricato nelle immediate vicinanze, quello dove ci sono i campi da tennis e da dove provengono i macchinoni.

La struttura coperta di impalcature, svuotata e circondata dalla vegetazione racchiudeva un tempo gli uffici generali degli studi cinematografici, le sale di deposito pellicola e sincro-proiezione, allungandosi poi nelle aree destinate agli uffici di produzione, al trucco e ai reparti tecnici; sui lati, i due teatri di posa: la grande curva del Teatro B è ancora intatta e perfettamente riconoscibile. Qui, nel 1934, è nato il cinema sonoro italiano.

Hollywood si trasferisce a Tirrenia

Siamo nel 1932 e per il regime fascista sono gli anni della costruzione del consenso. Tra le altre cose, vengono promosse bonifiche di aree malsane e paludose e il loro popolamento attraverso la costruzione di nuovi abitati. Una delle aree prescelte è quella che Gabriele D’Annunzio definì in “Forse che sì, forse che no” (1911) “l’amara selva del Tombolo ove forse la lonza s’aggira”: una vasta macchia di pini e tamerici su spiagge a duna e depressioni che separa – in parte ancora oggi – le due città di Pisa e Livorno. Un luogo selvatico e salmastro, una terra di nessuno nella cui zona prospiciente il mare viene deciso di costruire una piccola città balneare dal nome evocativo. Tirrenia.

Le direttive sono chiare. La nuova località deve essere costruita nel rispetto del verde circostante e viene fissato un limite agli ettari edificabili. Deve inoltre diventare il punto di partenza per una nuova valorizzazione turistica dell’area. Non basta costruire qualche edificio per renderla attraente: ci vuole una leva in più per popolare questo luogo sospeso tra mare, dune e selva, ed ecco che entra in scena il cinema.

Nei primissimi anni ’30 il cinema italiano non gode di buona salute. Sono i primi anni dei film sonori, “inventati” nel 1926 nella lontana e scintillante Hollywood e così apprezzati da l’Italia resta indietro. E’ sprovvista di teatri di posa adatti a girare film sonori e non può così competere sul mercato. Dall’altra parte, però, Mussolini è un grande appassionato di film, soprattutto di commedie. “La cinematografia è l’arma più forte!”, tuona, e nel 1934 fonda la Direzione Generale della Cinematografia. Ma servono altri due ingredienti per portare “l’arma più forte” proprio a Tirrenia: un regista deluso e un investitore illuminato. Il primo è il fiorentino Giovacchino Forzano, il secondo è Edoardo Agnelli, della nota famiglia torinese.

Forzano è uno di quegli uomini vicini al potere ma non troppo, un fascista senza tessera del partito. “Era uno a cui piaceva soprattutto vivere bene. – scriverà di lui il regista Mario Monicelli, che andava a scuola con uno dei suoi figli e che vide per la prima volta un teatro di posa proprio a Tirrenia – Lui, come tutta la sua famiglia, viveva da vero e proprio nababbo. Credo che non gli importasse altro che di vivere bene e per questo a un certo punto simpatizzò per Mussolini. Ma non perché fosse fascista”.
Agnelli, invece, fiuta il business di un’industria del cinema dall’avvenire grandioso, così l’establishment suggerisce di puntare su Tirrenia poiché la neonata località è circondata da una perfetta varietà di scenari per girare anche in esterno: mare, boscaglia, corsi d’acqua, colline e montagne poco lontano, Pisa come città antica e Livorno come città moderna nelle immediate vicinanze, Lucca e Firenze a un’ora circa di distanza. Forzano si fa convincere, parte per un sopralluogo e ritorna commentando che il luogo prescelto è tutta una palude abitata solo da rospi e vipere. Ma tant’è: Tirrenia sia.

I tempi d’oro della Pisorno

1934. Gli stabilimenti cinematografici di Tirrenia vengono fondati con il nome particolare di Pisorno, l’unione simbolica – e forse impossibile – di Pisa e Livorno. Per il progetto viene scelto Antonio Valente, uno degli architetti e scenografi di punta del periodo fascista. L’impianto industriale da lui concepito è importato direttamente da Hollywood e assolutamente rivoluzionario per l’Italia. Non solo sono i primi studios italiani con la giusta tecnologia per poter girare in sonoro, ma tutti gli spazi sono progettati all’insegna della funzionalità, per poter curare in sequenza tutte le fasi di lavorazione dei film, fino alla distribuzione. Questo avrà un forte impatto anche dal punto di vista occupazionale nell’intera zona circostante. Non solo attori, sceneggiatori e registi saranno chiamati a lavorare a Tirrenia, ma anche sarti, tecnici, truccatori, elettricisti, addetti alla ristorazione, ragionieri, tutte le maestranze necessarie per la creazione di un film dalla A alla Z.

Come il truccatore Piero Mecacci, parrucchiere e barbiere livornese che verso la fine degli anni ’30 decide di avventurarsi a Tirrenia per vedere se alle produzioni poteva servire qualcuno che tagliasse i capelli e che aiutasse le attrici a sistemarsi per andare in scena. “Ai tempi, fra gli anni ’35 e ’40, le attrici non avevano un vero e proprio truccatore e spesso si truccavano da sole – spiega il figlio Pier Antonio, 75 anni e una voce squillante che mischia romano e livornese -. Mio padre ha cominciato così fra il 1939 e il 1940, da solo, come si suol dire con la volontà e con la fame”.

Il primo film girato alla Pisorno è il napoleonico “Campo di Maggio” di Giovacchino Forzano. Fra il 1934 e il 1942 a Tirrenia si girano e producono 86 film di diverso genere, persino un western intitolato “L’imperatore della California”, girato da Luis Trenker; il gotha degli attori del tempo passa da qui, tra questi Clara Calamai, Osvaldo Valenti, Luisa Ferida e Doris Duranti. Le commedie sono il genere più battuto; la mussoliniana “arma più forte” è infatti un’arma di evasione di massa e trova la sua strada attraverso leggere commedie sentimentali che tra scenografie déco ed elementi di modernità mettono in scena la faccia benestante e spensierata di un’Italia che non c’è.

Ma i tempi d’oro della Pisorno durano poco. Nel 1937 arriva Cinecittà. Il nuovo polo romano attrae e, in virtù di un raffreddamento nei rapporti tra Forzano e la Direzione generale per la Cinematografia, diventa subito concorrenziale. Ogni tanto arrivano a Tirrenia alcuni truccatori da Roma e Piero Mecacci impara il mestiere anche da loro. Racconta sempre il figlio Pier Antonio: “Mecacci, gli dicevano, se tu vuoi lavorà devi venire a Roma. Là si lavora tutto l’anno”. Così, nel 1940, il parrucchiere reinventatosi truccatore Piero parte alla volta di Cinecittà, e per i successivi 15 anni fa la spola tra Roma e Tirrenia lavorando per diverse produzioni nell’uno e nell’altro luogo.

Nel 1940 arriva anche la guerra. Alla Pisorno, l’ultima realizzazione di questa fase è un tentativo mai concluso di film apologetico del fascismo, “Piazza San Sepolcro”, girato proprio da Giovacchino Forzano. Ma siamo nel 1943: il fascismo si sgretola e all’indomani dell’armistizio gli studios vengono occupati dai tedeschi, mentre Pisa e Livorno – importanti punti nevralgici – vengono bombardate senza pietà. Anche uno dei teatri di posa della Pisorno viene distrutto dalle bombe e dopo la liberazione, avvenuta in questa zona nel settembre 1944, gli studios diventano un deposito americano. La macchia di Tombolo si riappropria del suo volto più selvaggio e diventa in poco tempo il rifugio di sbandati, contrabbandieri, prostitute, disertori, soldati americani, un luogo senza regole né morale, raccontato nel film “Senza Pietà” di Lattuada e nelle pagine di Gino Serfogli, “Tombolo città perduta”.

La ripresa che non arriva

Una volta liberata la macchia dai “fuorilegge”, nei primi anni ’50 Giovacchino Forzano ci riprova. Con gli aiuti del Piano Marshall la Pisorno riapre i battenti e nel 1952 rianima le aspettative con un film drammatico di belle speranze: “Imbarco a mezzanotte” di Joseph Losey. Le cose però non vanno per il verso giusto. Forzano, il fascista non-fascista, è ormai bollato inesorabilmente come uomo invischiato con il vecchio regime, mentre Losey è scappato a gambe levate dagli USA perché ricercato dalla commissione di inchiesta maccartista volta a eliminare i filo-comunisti dal mondo dello spettacolo. Il flop iniziale è assicurato e il successo tardivo del film arriva, per l’appunto, troppo tardi per sancire una vera rinascita della Pisorno.
Inoltre, dopo la guerra le produzioni più interessanti hanno ufficialmente traslocato. Il genere del momento è il neorealismo e il luogo del momento è Roma. A Tirrenia arrivano solo produzioni minori, per circuiti di distribuzione di nicchia. Tra i 43 film qui prodotti e girati in questa seconda fase il più conosciuto è “Pellegrini d’amore” (1953) di Andrea Forzano, film di debutto di Sophia Loren.

Sono questi gli anni in cui anche Pier Antonio Mecacci si avvicina al mestiere di truccatore. “Negli anni ’50 alla Pisorno venivano girati soprattutto questi filmetti canori. Li chiamo filmetti perché erano produzioni minori, storie leggere, ma ne venivano fatti tanti – racconta, e scherza -. Negli stessi anni ci siamo stabiliti nuovamente a Tirrenia. Io ero talmente bravo a scuola che mio padre mi ci ha tolto. La prima media l’ho fatta 3 o 4 volte, non mi ricordo, così lui mi ha preso e mi ha portato sul set a imparare il mestiere. Sette canzoni per sette sorelle è stato il mio primo film come aiuto truccatore alla Pisorno nel 1956. Avevo 16 anni.”
Tra un “filmetto” e l’altro, la Pisorno vive anche una grande occasione mancata. Nel 1957 il produttore inglese Henry Saltzman viene in visita a Tirrenia, in cerca di una location adatta per un nuovo progetto: una serie di film d’azione tratti dai romanzi di Ian Fleming di cui ha appena acquistato i diritti. Il luogo gli piace, ma fiuta aria di crisi imminente e decide di cercare un’altra ambientazione. Nel 1959 la Pisorno fallisce e nel 1962 esce il primo film della serie prodotta da Saltzman, girato infine tra Londra e la Giamaica: “Agente 007 – Licenza di uccidere”, con Sean Connery e Ursula Andress.

Il 1959 è anche l’anno in cui i Mecacci decidono di trasferirsi definitivamente a Roma. Racconta ancora Pier Antonio: “Ci siamo fatti convincere dal fotografo di scena Ivo Cavicchioli. Vieni a Roma, vedrai che qualcosa si fa. Così io ho preso la patente, abbiamo firmato circa 100 cambiali per comprare una macchina e siamo partiti con tutti i bagagli e il materasso sopra il tetto. A Civitavecchia ci hanno fermati e ci hanno fatto pure una contravvenzione, perché nella fretta di partire per Roma avevo messo la targa davanti. A Cinecittà il mio primo film come aiuto truccatore è stato Messalina Venere Imperatrice.
Il primo come capo truccatore è stato “Morte di un bandito” di Peppino Amato e il segretario di produzione era Bud Spencer. Ci siamo rivisti nel film “Occhio alla penna”, io da anni capo truccatore e lui grande attore dei film spaghetti western. Anche mio cugino, Gianfranco Mecacci, ci ha raggiunti a Roma per lavorare come truccatore. Lui ha lavorato con Nanni Moretti, Paolo Villaggio, e spesso ha fatto qualche comparsa perché gli piaceva. Io no, ero più schivo, solo una volta ho fatto il dottore perché l’attore da fuori Roma non è arrivato e ho dovuto dire a Massimo Dapporto “Mi dispiace, ma è un caso raro”. Insomma – conclude Pier Antonio -, tutta la mia famiglia ha lavorato nel cinema, tranne mio fratello Luciano. Lui è diventato prorettore dell’Università di Firenze: per noi è la pecora nera!”

Cosmopolitan: dalle pellicole al golf club

E la Pisorno? Mentre James Bond si concede il suo Vodka Martini – agitato, non mescolato – e l’indimenticabile Honey Ryder, emerge dall’acqua di una spiaggia che non è quella di Tirrenia, tra Pisa e Livorno viene calato un poker d’assi. Il produttore Carlo Ponti, già ben conosciuto nel mondo del cinema, compra gli stabilimenti falliti ribattezzandoli “Cosmopolitan”. Non sarà il cocktail di 007, ma certamente vuole essere un nome più frizzante e dinamico adatto all’Italia del boom, che non profuma più di orbace e autarchia. Con questa sorpresa arrivano a Tirrenia una breve ventata di star system, un’atmosfera da red carpet, e una vecchia conoscenza: Sophia Loren, diventata nel frattempo la moglie di Ponti, che sarà l’attrice protagonista del film del rilancio “Madame sans gene” di Christian Jacque (1961).

Ma se l’anno successivo la coppia del momento Ponti-Loren vince l’Oscar con “La Ciociara” girato a Roma nel 1960, nemmeno questa sinergia riesce a fare decollare Tirrenia. L’estremo tentativo di resistenza alla centralizzazione della produzione nella capitale scricchiola fin da subito. Come i Mecacci, le maestranze che vorranno continuare a lavorare continuativamente nel cinema dovranno lasciare la selvatica costa toscana per recarsi a Roma. “Il cinema a Tirrenia non ha futuro – dirà lo stesso Ponti lapidario in un’intervista a La Nazione di quegli anni -. In Italia non c’è spazio per un’alternativa a Cinecittà. Il Cinema si fa a Roma e basta”. Nel 1969, infatti, gli studios di Tirrenia chiudono di nuovo i battenti e questa volta per sempre.
Poco dopo il 2000 Pierantonio Mecacci si trova a passare da Tirrenia e decide di andare a vedere il luogo dove ha imparato il suo lavoro di truccatore per il cinema. “Ho trovato un passaggio e sono entrato in bicicletta, con la macchina fotografica. Perché a me sui set piace andare in bicicletta – racconta -. Ho visto la struttura che era il bar in cui il fratello di mia madre lavorava e la palazzina di Valente… Poi non ho avuto il coraggio di proseguire perché lì a destra c’è quella cosa che hanno voluto costruire. Tornare nei posti di quando eri giovane e trovarli così mette tristezza. E’ tutta una cosa di business.”
Oggi, nelle immediate vicinanze degli studios, sorge il Cosmopolitan Resort, un cinque stelle con una club house progettata da Aldo Rossi, campi da golf e da tennis, e l’ultimo tassello ancora in fieri di questa trasformazione: gli appartamenti residenziali in prossima consegna. Si tratta in parte del progetto di riuso presentato nel 1985 da Guendalina Ponti (la figlia di Carlo) e Valerio Veltroni (il fratello di Walter). Pur finendo subito in bancarotta, il progetto sancisce inesorabilmente la nuova destinazione d’uso della zona: nuove cordate lo porteranno avanti a ribadire che il tempo delle pellicole è definitivamente superato.
La storia della Pisorno/Cosmopolitan non è la prima né l’ultima ad essere stata investita dal rullo compressore della realtà, da un’idea di produzione che ha voluto diventare a tutti i costi centralizzata e da un’idea di business al servizio del rilancio della zona che si è modificata a seconda dei tempi. Resta una storia da conoscere e raccontare, costruita sugli echi di un tempo che fu, magico e travolgente come a volte solo il cinema sa essere.